león carlo lucarelli recensione chiara del nero

“Hai letto Almost Blue?” mi chiede. 
“Ovviamente!” rispondo. 
“E Leon?”
 “No. Leon mi manca. Me lo consigli?” 
“Non lo so” risponde. 

Ormai da inizio anno, ho deciso di leggere un libro al mese consigliatomi dai miei pazienti.

Leon mi viene suggerito da un paziente che ho soprannominato Zelig, come il protagonista del film di Woody Allen sul camaleontico Leonard Zelig, uomo capace di assumere sembianze e carattere delle persone che lo incuriosiscono. 

Così, incuriosita, acquisto Leon. 

È il primo libro che leggo in cui le mascherine sono integrate nella trama e nella ‘quotidianità’ di una Bologna di nuovo stravolta da un feroce serial killer che lascia scie di sangue alle sue spalle prendendo le sembianze delle vittime. In questo periodo storico così difficile da sopportare dove il mondo intero è bombardato da bollettini sui morti da covid-19, uso di mascherine, vaccini, chiusure di locali, impennate di pazienti in ospedali strapieni, l’IGUANA è tornata. 

La corsa contro il tempo è scandita, anche qui come in Almost Blue, da note musicali e ritornelli di canzoni ma, a differenza di Almost Blue, tanto è cambiato.

La paura resta tagliente tra i personaggi nuovi e i vecchi sopravvissuti come Grazia e Simone. Però, a mio parere, il ritmo è troppo accelerato per affezionarmi o tifare per qualcuno, sembra ci sia fretta di arrivare all’epilogo come c’è fretta di uscire dall’emergenza pandemica. 

Leon non ha molto a che vedere col magico Almost Blue, sono d’accordo col mio Zelig, ma per esserne certa, dovrò rileggermi il primo.

All’improvviso ho nostalgia di Bologna e delle conversazioni intercettate dalla radio di Simone.

Buona lettura e rilettura.