Stando alle statistiche mondiali, ‘un amore di plastica’ sembra non essere più solo una canzone di Carmen Consoli. Il film Lars e una ragazza tutta sua (2007), mi ha permesso di guardare al mondo delle bambole per adulti da un punto di vista differente rispetto alla bibliografia sull’argomento che spesso affronta solo l’aspetto sessuale di questa popolazione in crescita.
La commedia invece non parla affatto di sesso ma si concentra sull’aspetto dei significati che possono celarsi dietro a scelte inusuali e non dichiarate apertamente ma comunque esistenti nella società odierna. Basti pensare al fatturato delle aziende costruttrici di Real Doll cresciuto in modo esponenziale nell’ultimo decennio. Perché? Una efficiente campagna pubblicitaria può essere una condizione necessaria all’inizio ma non credo sufficiente per mantenerla in attivo.
Un vero e proprio paradosso riflettendo sulle smisurate possibilità che oggi internet offre per fare conoscenza con altre persone (pensanti e in carne ed ossa) a livello planetario: social network gratuiti e siti a pagamento dirompono nelle nostre esistenze.
Infatti, mentre i nostri avi si conoscevano nelle corti o nei quartieri natii, noi potremmo potenzialmente scegliere il partner attingendo da una lista mondiale. Eppure…

Tralasciando l’aspetto ludico-erotico che può gravitare intorno al genere – sembra crescere l’interesse per le Real Doll. Perché?
Già in passato era noto l’interessamento ad oggetti inanimati; spuntano racconti sul tema dal mondo antico. Ma perché investire sentimentalmente su una bambola a grandezza naturale, simulacro perfetto di una donna? Un essere passivo che non può prendersi cura di sé, non può scegliere, non può contraddire. Quale timore si cela dietro un simile investimento affettivo? La paura della solitudine? La paura di una relazione reale dove in gioco c’è la non prevedibilità dell’altro? La paura del rifiuto? Del confronto? O del contatto emotivo?
Che cosa?
Nel mondo reale e senza filtri, ci percepiamo davvero così inadeguati nel controllare le emozioni e, soprattutto, nel condividere le tante sfumature che ci portiamo dentro?

Se questo è il nostro presente, chissà quale sarà il futuro di una generazione che cammina per strada cercandosi con le App anziché guardarsi negli occhi.